IN SARTU (Nell'ovile)Zio Nanneddu Fenu aveva l'ovile dalla parte di Tresnuraghes, cio quasi due ore distante da Nuoro, in una bella tanca dove l'erba durava fresca sino al mese di giugno. Ogni due o tre giorni la moglie o la figlia, la simpatica Manzla [6], si recavano a piedi, da Nuoro all'ovile di zio Nanneddu, per godersi una giornata di sole e portare delle vivande al vecchio pastore.Bustianeddu, il piccino della famiglia Fenu, un cosino alto tre dita, nero-bronzeo nel volto grazioso e maligno, con gli occhi tanto grandi da toccargli le orecchie, e che tutti, compresa sua madre chiamavano Tilipirche [7], era per il solito, il compagno di viaggio delle due donne. SenonchŽ egli andava a cavallo. Questo cavallo, che era poi una cavallina poco pi alta di Bustianeddu, sterile, vecchia, dal lungo pelo grigio e gli occhi pieni di una profonda melanconia, formava una parte, cio un personaggio importantissimo, in casa Fenu. Si chiamava Telaporca [8] e forse dal suo derivava il nomignolo di Bustianeddu.Fatto sta che Telaporca e Tilipirche passavano quasi tutta la vita insieme. Ogni sera, all'imbrunire, e ogni mattina all'albeggiare, si vedeva il piccolo pastore trottare allegramente su la pensierosa cavallina, attraverso lo stradale e le tanche deserte che conducono da Nuoro a Tresnuraghes, o nei sentieri erti e rocciosi di Marreri, dove zio Nanneddu calava con le greggie nella stagione cruda.DacchŽ era cresciuto Tilipirche, zio Nanneddu non si muoveva pi dall'ovile: era il piccino che andava e veniva, che recava i viveri da Nuoro all'ovile, e il latte, la ricotta e i formaggi dall'ovile a Nuoro. La cavallina era naturalmente il mezzo di trasporto: aveva una piccola sella di cuoio nero e di legno, antichissima, e la bisaccia tanto grigia e consunta da confonderla col suo pelo. Tilipirche cavalcava meravigliosamente e andava su per i sentieri assiepati di rovi e di lentischi, a occhi chiusi. Quando la bisaccia non era troppo pesante il piccino caricava in groppa o sul davanti di Telaporca un buon fascio di legna, rami di ginepro o cottichina, cio radici legnose di lentischio, e se non poteva pi, portava a casa cinque o sei scope di ginestra e di timavo, che lasciavano il profumo dietro i passi lenti e cadenzati della bizzarra cavalcatura.Ogni due o tre giorni, dunque, o almeno una volta alla settimana, zia Ventura o la bella Manzla si recavano all'ovile per visitare zio Nanneddu, - che invecchiando diventava un vero cinghiale, - e godersi il sole in pianura.Si portavano il cucito, o dei panni da lavare nel ruscello, che attraversando la tanca stagnava in parecchi punti, formando cos“ dei piccoli laghi verdi circondati di giunco e di nepitella freschissima, e ultimamente, anzi, zia Ventura s'era impossessata di un pezzetto di terra sempre umida, e ci aveva ficcato una enorme quantitˆ di patate, poi una siepe alta di pomidoro e fagioli, che coltivava con immensa cura e passione.Qualche volta le due donne si fermavano ben anco a dormire nell'ovile: dacchŽ aveva escogitato la professione di ortolana, zia Ventura pareva ammaliata, e se scorrevano pi giorni senza che avesse visitato quel benedetto luogo pareva ne morisse. Manzla si stizziva, la sgridava, dicendole che ora non faceva pi faccende in casa, con questa passione, ma zia Ventura la lasciava cantare, e ritornava lo stesso lass, nella sua coltivazione prosperosa. La ragazza un giorno le minacci˜ di sradicarle tutto; allora zia Ventura si raccomand˜ a Pedru Chessa, - un altro pastore che pascolava, in comune a zio Nanneddu, la grande tanca, e che nella notte si ritirava alla stessa capanna, - si raccomand˜ pregandolo di tener d'occhio Manzla allorchŽ si recava lass.- PerchŽ non lo dite a vostro marito? - chiese Pedru Chessa.- Eh giˆ! Lui fa tutto ci˜ che vogliono i ragazzi: se vede Manzla a sradicare il mio orto si metterˆ a ridere.- Beh! Dar˜ io attenzione. Se la vedo... cosa devo fare?- Dalle magari una iscavanada [9], che non ti veda Nanneddu.Una mattina di maggio Bustianeddu e Manzla trottavano allegramente verso l'ovile. Trottavano, cio, per modo di dire, che il solo a trottare era Bustianeddu sulla sua cavallina.Il piccino non aveva alcun istinto cavalleresco, e perci˜ non cedeva mai il suo posto, neppure alle donne. Ma Manzla camminava pi lesta di Telaporca, ed era capace di attraversare tutta la Sardegna a piedi.Via, via, per lo stradale bianchissimo, attraverso le fresche pianure verdi, coperte di margherite e di campanule agresti, sotto il sole ardente, i due ragazzi andavano chiacchierando e ridendo. Manzla si era scalzata, e tuffava quasi con gioia i piedi nudi tra l'erba rugiadosa, emettendo ogni tanto un'imprecazione, quando le spine dei cardi molli, nascenti sotto il fieno, le pungevano le gambe.Niente di pi grazioso di Manzla allorchŽ nominava i diavoli, o faceva qualche smorfia per dispetto. La fanciulla era una vera figlia del popolino nuorese, piena di malcreanza, di grazia inconsapevole, e di seduzioni bizzarre. Diceva tutto ci˜ che le saltava in testa, mentiva con la massima disinvoltura, e dava la sua persino ai santi.Del resto era divotissima, si confessava spesso, e nelle ore di cattivo umore desiderava ardentemente la morte. Ma gli scapolari che teneva al collo e la piccola medaglia che zio Nanneddu le aveva portato da Roma, - s“, precisamente da Roma, quella volta che era andato per testimonio nel famoso processo dei sardi, datagli da un prete, che egli riteneva fosse il papa - non le impedivano di imprecare ad ogni minuto.Manzla aveva diciotto anni. Veramente essa dai sedici anni non si moveva pi adducendo per prova i tredici di Bustianeddu, ma in realtˆ ne contava diciotto. Era sottilissima e piccola, coi capelli neri divisi in due bande sulla fronte un po' bassa, e alla sua carnagione bianca il sole e l'aria avevano dato quella tinta calda, dorata, e diremo quasi bionda, delle razze latine confinanti alle more.In casa Fenu c'era la specialitˆ degli occhi grandi, e Manzla, poi ce li aveva enormi. Due strani occhi leggermente chiari, senza esser bigi, pieni di una falsa ingenuitˆ, e di sorrisi vaghissimi. Manzla si valeva ad ogni istante dei suoi occhi, rendendoli dolci, o spauriti, od attoniti, a piacere, e allorchŽ era adirata li chiudeva un po', sapendo che allora erano terribili. Con tutto ci˜ essa non era maligna: si credeva di esserlo, ma non lo era, come non era cattiva, benchŽ Bustianeddu glielo ripetesse ogni istante. Anche quella mattina, venuti a parole lungo la via, il piccolo pastore le ripetŽ: - Sei cattiva!Manzla non potŽ sopportarlo e picchi˜ con un gambo di ferula la groppa della cavallina che si mise a correre pazzamente attraverso il piccolo sentiero erboso. Ma Bustianeddu si tenne fermo, e quando potŽ far calmare la bestia, si volt˜ indietro ridendo a squarciagola e apostrof˜ la sorella chiamandola: - Feruledda, Feruledda!La ragazza si mise a correre, decisa di lanciargli un sasso, ma in quel punto apparve un uomo, nel verde di una macchia, e la ferm˜ gridandole: - OhŽ, Manzla, da queste parti? -. Era Pietro Chessa che veniva pur esso da Nuoro, e che seguiva i due ragazzi da pi di mezz'ora.- S“, da queste parti! - rispose Manzla con una smorfia. - Eri da molto senza vedermi, da queste parti!- Eh, s“, da avant'ieri!Proseguirono insieme la via. Bustianeddu andava sempre avanti, temendo qualche tiro della sorella, e cantava in dialetto. La sua vocina stridula, ma cadenzata, si smarriva in lontananza, per le macchie che chiudevano la pianura, fra il ronzio delle mosche nascoste nei fieni alti, immobili al sole. Pietro e Manzla seguivano. La ragazza esponeva al giovine tutte le cattiverie, e le male azioni di Bustianeddu. Oramai non poteva sopportarlo pi, e il momento che le cascava sotto le unghie doveva scorticarlo vivo. Ma Predu quasi quasi non l'ascoltava. Con gli occhi fissi nel vicino orizzonte, chiuso dalle alture su cui imperano rovinati i nuraghes che dˆnno il nome a quella cussorgia, - quella appunto ove si trovava l'ovile suo e di zio Nanneddu, - nella linea del cielo d'un azzurro cos“ profondo e cupo da parer tristissimo, Predu pareva immerso in un sogno.Egli era pazzamente innamorato di Manzla. DacchŽ zia Ventura l'aveva pregato di tener d'occhio la fanciulla, egli non provava un momento di pace e di calma. La figurina di lei gli si era impressa sulla retina degli occhi, e la vedeva da per tutto, nel verde sconfinato della pianura, nel cielo implacabilmente azzurro, di giorno e di notte.Di notte, anzi, allorchŽ le greggie vagavano per le macchie silenziose, riempiendo la serenitˆ lattea del plenilunio con la musica monotona delle loro campanelle, Pedru, muto e assonnato, invaso da una intensa melanconia, scorgeva Manzla in ogni punto, fra i giunchi scintillanti alla luna, nella capanna, sui nuraghi neri e nelle fratte.Giˆ, da appena l'aveva conosciuta, egli se n'era innamorato, ma ora, ora il suo amore, raggiungeva la pazzia; egli scoppiava per poco. E facendo i suoi calcoli Predu si era deciso a spiegarsi e chieder Manzla in isposa. Cosa gli mancava? Era un buon pastore, giovine, forte, bello; possedeva gregge e qualche pascolo, e poteva metter su casa senza timore alcuno. La fanciulla era molto giovine ed inesperta, ma poco ci˜ importava. Si poteva attendere o due o tre anni per isposarsi: ci˜ che importava era il procurarsene l'amore. Quella mattina Predu, vistosi solo al fianco della ragazza, pensava e ripensava al modo con cui spiegarsi, ma non una parola poteva uscirgli dalle labbra, e il cuore gli batteva cos“ forte da spezzarglisi sotto il giubbone di velluto.A momenti mentr'essa chiacchierava sparlando di Bustianeddu, il giovine era tentato di interromperla gridandole in alto il suo segreto, ma appena staccava le labbra, una specie di torpore ardente gli invadeva la testa velandogli lo sguardo e costringendolo quasi a cadere per terra.Pure, alla fine, dovette decidersi. In lontananza appariva giˆ la capanna e la tettoia di frasche secche dove i pastori meriggiavano, e Bustianeddu, gettando per l'aria l'ultimo trillo della sua canzone s'era slanciato al galoppo verso l'ovile.Il sole, giˆ alto, dardeggiava la pianura, e Predu sentiva il sangue ondeggiargli ardente, a sbalzi, a meandri, a vampate, infiammandogli il viso e la testa.Manzla invece, tirato il fazzoletto su gli occhi, proseguiva tranquilla, col viso dorato, composto come quello di una madonnina latina del Quattrocento. La luce intensa dell'aperta campagna dava un riflesso chiarissimo ai suoi grandi occhi, rendendoglieli quasi grigi e trasparenti, e Predu, guardandola intensamente, si sentiva morir dalla voglia di prendersela fra le braccia, come un piccolo agnello bianco e spaurito, e di coprirla di baci.- Manz - le disse alla fine, fermandosi di botto all'ombra di un'altura che nascondeva la capanna, e sotto cui si insinuava il piccolo sentiero tracciato sull'erba. - Manz, ho da dirti una cosa.Siccome per tutta la strada era rimasto silenzioso, la fanciulla lo guard˜ stupita e si ferm˜ anch'essa all'ombra.C'era un fresco incantato, lˆ sotto. Dai massi sovrapposti dell'altura piovevano grandi grappoli di rovi verdeggianti e di biancospino fiorito. Le rose canine, diafane, sfumate in colore d'ambra, olezzavano acutamente, e il ruscelletto attraversava gorgogliando il sentiero per poi sparire tra le alte ferule anch'esse fiorite, di cui Manzla teneva ancora un grosso e lungo gambo fra le mani.Improvvisamente Predu si era fatto bianco in volto, bianco come i fiori della ferula e degli spini, e la fanciulla lo guard˜ quasi spaventata, credendo si sentisse male.- Ebbene, cosa hai? - gli domand˜.- Senti, - cominci˜ egli, - ami tu qualcheduno?...- No... ma cosa te ne importa?... - disse Manzla scoppiando in un'alta risata. Senza altre parole ella comprendeva giˆ a che Predu voleva concludere, e rideva... rideva... rideva perchŽ questa storia non la sospettava neppure, perchŽ non aveva mai pensato ad un probabile amore fra lei e il giovane pastore. Egli la lasci˜ ridere e prosegu“, rinfrancandosi a poco a poco, o meglio riscaldandosi:- C' un giovine che ti vuol bene e ti sposerebbe volentieri... Se tu credi di accettarlo, Manzla...- Sei tu, non vero? - chiese essa francamente, guardandolo negli occhi e battendogli scherzosamente la ferula su una spalla. Pietro sussult˜ e un lampo gli rifulse negli occhi neri.Ah, dunque, Manzla lo amava? S“, altrimenti non si sarebbe comportata cos“. Dopo tante ansie e tanti timori una felicitˆ immensa veniva nell'animo di Predu, cos“ inattesa e luminosa da togliergli la ragione e il sentimento di sŽ stesso.Ma a un tratto mand˜ un acuto grido che risuon˜ per tutta la pianura. Che era stato? Una cosa semplicissima.Nell'ardore della gioia, Predu, quasi inconsapevolmente, aveva cercato di abbracciare Manzla, ma la fanciulla, che non la intendeva cos“, dando un passo indietro, gli aveva percosso ferocemente il volto con la sua ferula.Un colpo, una staffilata terribile, incredibile anzi.La pelle bruna del giovine si era lacerata, quasi colpita da scheggie di pietra, e sanguinava.Ma il dolore acuto, la vera ferita era all'occhio. Predu aveva creduto di morire, e se fosse stato altri che Manzla a fargli quella azione, egli sarebbe corso alla capanna in cerca del suo archibugio o della sua leppa. Ma con lei cosa ci poteva fare? Passato il primo dolore si chin˜, senza pronunziar verbo, sul rivoletto, e si lav˜ il viso, poi trasse di tasca un pezzo di fazzoletto e si asciug˜ il sangue che scorreva, macchiandogli la barba, la camicia ed il giubbone.Manzla tremava, convulsa: le pareva di aver commesso un delitto, ed ora toccava a lei diventar bianca come i fiori della ferula. Sulle prime fu per fuggire, ma poi, visto che Predu non si lamentava, gli si avvicin˜ balbettando mille scuse. - Fa vedere, - gli disse stendendo le mani, - fammi vedere. Cosa ti ho fatto, cosa ti ho fatto?E voleva esaminare la ferita, ma Predu la respinse, senza dir parola. Mentre Manzla continuava a guardarlo, torcendosi le mani per la disperazione, giunse correndo Bustianeddu, chiedendo che cosa era successo.- Niente, - rispose Predu, - son caduto e mi son ferito qui... E riprendendo la via mostr˜ la ferita al piccino.Manzla li segu“. Non rideva pi, non ricordava pi in che mondo si fosse. Ah, insieme al sangue, ella aveva veduto delle lagrime scendere dagli occhi, dai poveri occhi di Predu Chessa!... Allora avvenne una strana cosa. Da quel giorno Predu divent˜ burbero e selvaggio come zio Nanneddu. Non tornava pi a Nuoro, non parlava, non cantava, non rideva pi.E neppure sognava. Nelle notti calde e stellate di giugno, quando per l'aria immobile della pianura vaporeggiava il profumo delle prime stoppie e dei reas rosseggianti nel fieno disseccantesi, egli non vedeva pi Manzla davanti a sŽ, e il tintinnio delle greggie pascolanti gli dava solo dei ricordi amari e il rimpianto di sogni smarriti.Quando la fanciulla veniva all'ovile egli non la guardava neppure. Oh, poteva benissimo sradicare tutta l'ortaglia di zia Ventura: egli non si sarebbe mosso dalla tettoia, o dalla capanna. Certe volte anzi, quando vedeva spuntare il fazzoletto oscuro o il corsetto rosso della ragazza, egli se ne andava lontano, al di lˆ dei nuraghi, e spariva tra le macchie, come un bandito.Eppure Manzla ora era piena di gentilezze con lui. Lo chiamava compare Predu, e domandava di lui, ogni giorno, a Bustianeddu. Inoltre moltiplicava le sue visite all'ovile, e si interessava di ogni cosa. Restava entro la capanna allorchŽ Predu preparava il formaggio, lo aiutava ad infuocare le pietre che servivano a coagulare il latte, e non lasciava scappar nessuna occasione per ricordargli l'avventura della ferula. Ma lui zitto, sempre zitto. La lasciava fare, non rispondeva nulla, non le faceva alcuna osservazione, non le dava uno sguardo.Che cosa succedeva fra quei due esseri bizzarri?Nulla di meraviglioso, o meglio, s“, una cosa meravigliosa, un dramma intimo e interessantissimo.Manzla amava perdutamente Predu, e Predu non l'amava pi. Manzla gli faceva la corte, ma lui non ci badava, anzi ne provava un disgusto infinito, e un acre piacere, il piacere della vendetta. Ah, ella gli aveva frustato il volto... s“, andava benissimo, era nel suo diritto di ragazza onesta, ma ora lui le avrebbe sferzato il cuore, glielo avrebbe fatto sanguinare come ella aveva fatto sanguinare il suo viso.Non attendeva che l'occasione propizia.Intanto Manzla si consumava di passione e di rimorso.Quelle lagrime vedute scorrere sulle guancie del forte pastore, - che probabilmente non aveva pianto altra volta in vita sua, - le tornavano in mente ad ogni minuto, e la scena dolorosa le si ripeteva quasi ogni notte in sogno.Si fece divota pi che mai e pregava sempre, pellegrinando alle chiese di Valverde e del Monte, per chiedere alla dolce Signora del Cielo la pace per la povera anima sua.Ma la pace non tornava, non tornava pi. Il sorriso si era spento sul suo bel viso dorato, che nel pallore della tristezza diventava quasi brutto, con tinte terree e cadaveriche, e gli occhi le si erano fatti neri, offuscati da un velo di misteriose malinconie.Tutti si accorgevano del suo cambiamento, e zia Ventura giurava che Manzla era stregata. A furia di sentirselo ripetere, la bimba ci credŽ anche lei, e dovettero assoggettarsi alla cura per questa speciale malattia.Sa medichina e s'istria [10], la faceva zia Peppa Frunza, la medichessa del vicinato. Prima misur˜ Manzla per lungo e per largo, e da questa misura result˜ evidente che la fanciulla era stregata da tre mesi. Zia Peppa allora accese un fuoco, gettandovi il filo con cui aveva misurato Manzla, del rosmarino, delle piume di strige e tanti altri ingredienti miracolosi, e fece saltarlo per tre volte alla malata, mentre lei recitava misteriose preghiere.Questa cura speciale si rinnov˜ molte volte, finchŽ a zia Peppa parve che Manzla fosse guarita. Ma giˆ! La ragazza era e rest˜ innamorata di Predu. Andava come una pazza, e non trovava calma in alcun posto, solo lass, lass, a Tresnuraghes nell'ardore del sole che dilagava sui fieni biondi, tra le ferule secche e i cardi e le stoppie che scintillavano d'oro.Lass c'era Predu che non rideva nŽ cantava mai, che si era lasciata crescere la barba, che era pi bello che mai con i sopraccigli aggrottati e le labbra chiuse.Persino zio Nanneddu si accorgeva della pazzia di Manzla, e benchŽ la amasse teneramente, con tutta la tenerezza del suo carattere chiuso e selvaggio, si risentiva della sua condotta. Ma che fare? Privarla di andare all'ovile? No, chŽ neppure lui poteva star due giorni senza vederla.Pensa e ripensa si decise a cambiar di pascolo, e lasciare, mediante compenso, i pascoli di Tresnuraghes tutti a Predu. Fece tutto alla chetichella, e quando ogni cosa fu combinata, disse a Manzla, una sera di agosto:- Di' a tua madre che domani cambio le greggie al monte.- Anche Predu? - chies'ella ansiosamente.- No, egli resta qui tutto l'autunno...Essa non disse nulla, ma nella disperazione che la colp“ prese una grande decisione, e and˜ in cerca del giovine.Non si vedeva in nessun posto. Nella immensa calma ardente del pomeriggio la pianura pareva dormisse. Le pecore stavano assopite nell'ombra delle macchie, e il confine del paesaggio sfumava in linee quasi gialle, confuse con l'orizzonte d'un azzurro grigiastro e vanescente.Dopo molti giri Manzla vide Predu in lontananza. Nella luminositˆ del sole pareva una macchietta nera e lontana, ma ben presto la fanciulla lo raggiunse e gli si avvicin˜. Tremava come una foglia: il caldo, la corsa e l'emozione le imporporavano il viso e le labbra. Cos“ con gli occhioni spaventati, i capelli scomposti sotto il fazzoletto che slegato le scivolava dalla testa, Manzla diventava bella come pochi mesi prima, pi bella ancora, tanto che Predu la guard˜ sussultando.- Ebbene, - le chiese, - perchŽ corri cos“ come una pazza? Cosa c'?- é vero che babbo se ne va e tu resti qui? - domand˜ lei ansante. E lui freddo: - Pare cos“!- E dunque... te ne vai... senza dirmi chi era quel giovine che...Egli non la lasci˜ proseguire. E con uno scoppio d'ira, di passione e d'odio nella voce grid˜: - Ero io!Manzla ne fu annichilita. Ora perdeva ogni speranza, ora vedeva bene che Predu l'odiava a morte. Ah, non ne poteva pi, non ne poteva pi! E lasciandosi cadere su una pietra, al sole infuocato di agosto, scoppi˜ in pianto.Predu a quella scena, cambi˜ di colore e prov˜ una sensazione che non era certo quella che si aspettava dalla sua vendetta. Tutto il sangue gli afflu“ al viso; eppure, davanti allo schianto di dolore della fanciulla non trov˜ che una stupida domanda: - Cosa diavolo hai, Manzla?Ma essa non rispose. Predu si allontan˜ rapidamente e ben presto form˜ di nuovo una macchietta nera perdentesi in lontananza, nel bagliore della pianura silenziosa.Manzla continu˜ a piangere sulla sua sventura e sul suo amore disperato, ma quando - stanca di piangere - torn˜ verso la capanna, zio Nanneddu la prese in un cantuccio, sotto la tettoia di frasche e le disse:- Manz, Predu Chessa ti vuole per isposa!Note:[6] Mariangela. [7] Cavalletta, maschile. [8] Cavalletta, femminile. [9] Uno schiaffo. [10] La medicina della strega.